NONNO UMBERTO

Nonno Umberto era del 1905, uno dei bambini nati liberi dopo l’emancipazione degli ebrei italiani grazie ai Savoia. Con l’apertura del ghetto gli ebrei romani diventano finalmente cittadini italiani e, per riconoscenza ai Savoia, mettono ai loro figli i nomi dei re. Io mi chiamo Umberto come il mio nonno materno e mio fratello si chiama Vittorio Emanuele come il mio nonno paterno che non ho mai conosciuto perché lui sparì, a soli 51 anni, a Auschwitz.

Nonno Umberto era tanto burbero quanto la nonna era sempre allegra e ridanciana. Questa differenza di punti di vista sul mondo diede luogo a un fraintendimento che nonna Betta pagò a caro prezzo. Un giorno, prima di uscire per andare al lavoro, chiese che cosa avrebbe trovato per pranzo.

Nonno Umberto di mestiere faceva il “ricordaro” o “peromante”, vendeva souvenir andando in giro per Roma da un monumento all’altro, e in genere tornava a casa per il pranzo e poi di nuovo al Pantheon, o al Colosseo, o a piazza Venezia sotto al Campidoglio. Quel giorno la nonna ebbe la malaugurata idea di rispondere con un gioco di parole che a lei doveva sembrare divertente: “Pe’ pranzo c’è broccoli e frittata de broccoli”. Il nonno tornò dopo aver pregustato per tutta la mattinata quelle pietanze di cui era goloso. La nonna gli servì la minestra di broccoli e patate, lui la mangiò avidamente e si mise in attesa. Ma la frittata di broccoli non arrivava. “A Be’, ma s’ta frittata?” “’Un c’è: stavo a scherza’! Mio nonno senza por tempo in mezzo si alzò e le diede alcuni schiaffi in testa a lei che si riparava come poteva. Altri tempi, la condizione femminile avrebbe impiegato ancora un po’ di tempo a migliorare.

Nonno Umberto mi insegnò a mangiare la bottarga raccomandandosi di mangiarci tanto pane. Nella percezione di preziosità di questo cibo divino, che gli ebrei conoscevano già da molto tempo prima che da cibo di scarto diventasse piatto alla moda, questa cosa mi influenza ancora oggi.

Nonno Umberto, a modo suo, mi ha insegnato anche uno dei fondamentali dell’educazione, cioè che si deve salutare. Perciò tutte le mattine, prima che ne avessi il tempo, mi intimava: “Da’ ‘o bòngiorno, somaro!”

NONNO UMBERTO

Nonno Umberto era del 1905, uno dei bambini nati liberi dopo l’emancipazione degli ebrei italiani grazie ai Savoia. Con l’apertura del ghetto gli ebrei romani diventano finalmente cittadini italiani e, per riconoscenza ai Savoia, mettono ai loro figli i nomi dei re. Io mi chiamo Umberto come il mio nonno materno e mio fratello si chiama Vittorio Emanuele come il mio nonno paterno che non ho mai conosciuto perché lui sparì, a soli 51 anni, a Auschwitz.

Nonno Umberto era tanto burbero quanto la nonna era sempre allegra e ridanciana. Questa differenza di punti di vista sul mondo diede luogo a un fraintendimento che nonna Betta pagò a caro prezzo. Un giorno, prima di uscire per andare al lavoro, chiese che cosa avrebbe trovato per pranzo.

Nonno Umberto di mestiere faceva il “ricordaro” o “peromante”, vendeva souvenir andando in giro per Roma da un monumento all’altro, e in genere tornava a casa per il pranzo e poi di nuovo al Pantheon, o al Colosseo, o a piazza Venezia sotto al Campidoglio. Quel giorno la nonna ebbe la malaugurata idea di rispondere con un gioco di parole che a lei doveva sembrare divertente: “Pe’ pranzo c’è broccoli e frittata de broccoli”. Il nonno tornò dopo aver pregustato per tutta la mattinata quelle pietanze di cui era goloso. La nonna gli servì la minestra di broccoli e patate, lui la mangiò avidamente e si mise in attesa. Ma la frittata di broccoli non arrivava. “A Be’, ma s’ta frittata?” “’Un c’è: stavo a scherza’! Mio nonno senza por tempo in mezzo si alzò e le diede alcuni schiaffi in testa a lei che si riparava come poteva. Altri tempi, la condizione femminile avrebbe impiegato ancora un po’ di tempo a migliorare.

Nonno Umberto mi insegnò a mangiare la bottarga raccomandandosi di mangiarci tanto pane. Nella percezione di preziosità di questo cibo divino, che gli ebrei conoscevano già da molto tempo prima che da cibo di scarto diventasse piatto alla moda, questa cosa mi influenza ancora oggi.

Nonno Umberto, a modo suo, mi ha insegnato anche uno dei fondamentali dell’educazione, cioè che si deve salutare. Perciò tutte le mattine, prima che ne avessi il tempo, mi intimava: “Da’ ‘o bòngiorno, somaro!”

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