Tra queste c’è la proibizione di mescolare – cucinare – la carne con il latte o suoi derivati. La norma deriva da un versetto ripetuto più volte nella Torà “non cucinerai il capretto nel latte di sua madre”. Successivamente viene proibito in modo assoluto il sangue degli animali che si mangiano e di certe parti grasse, quelle che spettavano ai sacerdoti quando esisteva il santuario di Gerusalemme.
Nell’elenco dei vari animali, volatili e pesci permessi o proibiti non viene data nessuna spiegazione del perché della proibizione stessa. Sono i cosiddetti “decreti divini” incomprensibili alla mente umana che vanno accettati così, senza farsi domande o cercare spiegazioni, anche se la speculazione intellettuale su questi decreti non solo è permessa ma anche incoraggiata.
Kierkegaard sosteneva che di fronte a questi precetti è necessario “un balzo nella fede” ma l’esperienza individuale soggettiva nell’attuazione dei precetti genera dinamiche intellettuali, emotive e spirituali significative. Se per la regola che vieta di mangiare parti di un animale vivo (e a maggior ragione interi esseri vivi, come le ostriche) è comprensibile, quella che vieta la mescolanza di carne e latte non lo è altrettanto.
Il latte è il simbolo della vita che fluisce dalla madre al figlio. Sebbene la Torà permetta di mangiare carne e inevitabilmente di prendere la vita di un animale per questo scopo, ci sono limitazioni che vanno rispettate.
La proibizione del latte e della carne insieme considera incongruo mescolare il simbolo della vita con la carne di un animale morto e mescolarli è “offensdivo” per la nostra sensibilità e il nostro concetto di “coerenza intellettuale”.
Quindi, nonostante sia un “decreto divino”, la simbologia di questa regola parla alla nostra condizione di essere umani. Non ci chiediamo quale sia l’intenzione divina né ci concentriamo sugli effetti fisici e psicologici dell’osservanza o non osservanza: è la regola stessa ci obbliga a una riflessione sul mondo che ci circonda.
Non si possono mangiare animali carnivori anche se la carne è permessa (riflettiamo anche su questo?) e i pesci permessi devono avere le squame e le pinne, quella cosa che consente di nuotare con le correnti e le maree.
E allora forse queste regole, apparentemente arbitrarie, contengono un messaggio semplice: siamo quello che mangiamo, dobbiamo fare attenzione a ciò che ingeriamo perché diventa parte di noi, non solo fisicamente ma anche spiritualmente.
Se possiamo mangiare carne questa non deve essere un elemento che ci definisce e il pesce permesso, oltre alle sue qualità salutari, può essere letto come un simbolo della capacità umana di combattere le correnti avverse e rimanere a galla.
