Da stasera e per otto giorni gli ebrei di tutto il mondo non mangeranno né pane né qualsiasi cibo lievitato in ricordo della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, una libertà che il Faraone concesse circa ottomila anni fa dopo le dieci piaghe che il signore inflisse agli egiziani. L’ultima, la morte dei primogeniti, convinse il dittatore egiziano a liberare quel popolo schiavo da 400 anni che faceva i mattoni con la paglia e che aveva perso ogni speranza di essere liberato e di diventare un popolo.
Una fuga precipitosa, la necessità di preparare il pane per il viaggio, un pane che non ebbe tempo di lievitare è diventato il simbolo di questa festa, in origine agricola, che celebra la conquista della libertà e l’autodeterminazione come individui.
Ma il pane azzimo, non lievitato e quindi non “gonfiato”, è anche il simbolo della semplicità e dell’umiltà, un suggerimento contro le tentazioni umane di compiaciuta superbia. La regola stabilisce che si deve impastare e infornare entro 18 minuti perché oltre questo limite inizia il processo di lievitazione.
Sarà un caso ma il numero 18, nell’interpretazione basata sul valore numerico delle lettere chiamata “ghematrià”, equivale a “chai-vita”, come dire fate attenzione che dopo 18 minuti l’impasto comincia prendere vita. Il Seder è una cena che segue un rituale preciso fatto di narrazione e cibi simbolici che raccontano il passaggio dalla schiavitù alla libertà e, naturalmente, le azzime sono al centro di questo rituale. Con le azzime, tra le alte cose, si fanno le pizzarelle col miele, un dolce squisito che in genere conclude la cena del Seder.
